martedì 31 luglio 2007

NIENTE INTERPELLO PER I COSTI AUTO

Non è suscettibile di disapplicazione la normativa che prevede una deducibilità limitata dei costi auto.
E’ quanto si apprende dalla Risoluzione del 27 luglio 2007 n.190, attraverso la quale l’Agenzia delle Entrate fa sapere che non accetterà istanze disapplicative presentate ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, DPR 29 settembre 1973 n. 600 in materia di deducibilità dei costi auto.
Tale indicazione emerge in risposta ad un interpello presentato da un medico che, prove alla mano, aveva richiesto di potersi dedurre il 90% dei costi sostenuti per la propria automobile, dimostrando come tale percentuale riflettesse correttamente l’utilizzo della stessa nell’ambito professionale.
L’Agenzia delle Entrate, senza esaminare la documentazione prodotta dal contribuente istante, ha replicato che il comma 8 dell’art. 37-bis DPR 600/73 prevede la possibilità di disapplicare solamente quelle norme tributarie che hanno lo scopo di contrastare comportamenti elusivi, qualora si dimostri che in una particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi.
Premesso ciò, la disposizione prevista dall’art. 164 TUIR, che prevede una deduzione forfetaria dei costi auto per i professionisti pari al 25% (inasprita dal D.L. 262 del 2006), non è da considerarsi una norma con scopo antielusivo bensì una norma riconducibile alla volontà del legislatore di evitare un “evasivo” utilizzo privatistico del bene e, come tale, non rientrante tra le norme disapplicabili tramite interpello.
L’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate sbatte la porta in faccia ad una piccola apertura che la stessa aveva fornito nella Risoluzione 7 settembre 1998 n. 133 nella quale, trattando una norma simile, diceva che “la questione sollevata con la richiesta in esame potrebbe rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973 che consente la disapplicazione delle disposizioni normative di natura antielusiva a seguito della presentazione di apposita istanza da parte del contribuente”.

lunedì 30 luglio 2007

AFFITTO D'AZIENDA: PROFILI CIVILISTICI

Abbiamo visto cos’è l’azienda.

L’azienda può formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura: può essere venduta, conferita in società, donata, e sulla stessa possono altresì essere costituiti diritti reali o personali di godimento a favore di terzi.
L’affitto d’azienda fa parte di quest’ultima categoria ed è disciplinato direttamente dall’art. 2562 c.c. al quale si affiancano alcune norme riguardanti i contratti d’affitto in genere ed altre relative all’azienda.

L’affitto d’azienda può essere definito come un contratto con il quale il concedente trasferisce all’affittuario il diritto di godimento dell’azienda a fronte del pagamento di un canone periodico e per un periodo di tempo determinato. L’affitto può riguardare l’intera azienda o più aziende possedute dallo stesso imprenditore, ovvero un solo ramo dell’attività.

Innanzitutto la forma: come esplicitamente previsto dall’art. 2556 c.c. i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto (ad esempio se l’azienda comprende un immobile la forma scritta dovrà essere un atto pubblico o una scrittura privata). Nel caso di atto pubblico o scrittura privata autenticata, inoltre, c’è l’obbligo di iscrizione dell’atto nel registro delle imprese entro 30 giorni dalla stipula, a cura del notaio rogante o autenticante.

Gli obblighi: la stipula di un contratto d’affitto d’azienda impone degli obblighi sia in capo al concedente sia in capo all’affittuario; alcuni di tali obblighi sono derogabili, altri sono sempre applicabili indipendentemente dalla loro inclusione nelle clausole contrattuali o da diverso accordo tra le parti.
Gli obblighi per il concedente posso individuarsi nei seguenti:

  • conservazione dell’azienda in modo da poter servire all’uso pattuito (art. 1617 c.c.). Tale disposizione è da ritenersi non derogabile perché, in caso contrario, l’affittuario potrebbe trovarsi nella condizione di non poter godere dell’azienda affittata;
  • obbligo di eseguire le riparazioni straordinarie (art. 1621 c.c.). Poiché il confine tra ordinario e straordinario spesso non è così netto, è consigliabile definire nel contratto in modo molto dettagliato quali riparazioni s’intendono di un tipo e quali dell’altro;
  • divieto di concorrenza per tutta la durata dell’affitto (art. 2557 c.c., comma 4). Tale norma non può essere derogabile poiché se il concedente esercitasse attività concorrenziale svuoterebbe l’azienda di quel bene immateriale che viene chiamato avviamento e che rende un semplice complesso di beni un’azienda.

Gli obblighi per l’affittuario possono individuarsi, invece, nei seguenti:

  • obbligo di esercizio dell’azienda sotto la ditta che la contraddistingue (art. 2561 c.c., comma 1). Abbiamo già visto cosa sia la ditta e quale sia la funzione distintiva;
  • obbligo di gestire l’azienda affittata senza modificarne la destinazione (art. 2561 c.c., comma 2). L’affittuario, cioè, deve svolgere la medesima attività che svolgeva il concedente;
  • obbligo di conservazione dell’efficienza dell’organizzazione e degli impianti in generale e di occuparsi della manutenzione ordinaria (art. 2561 c.c., comma 2);
  • obbligo di conservazione delle normali dotazioni di scorte (art. 2561 c.c., comma 2);
  • obbligo di pagamento di un canone;
  • divieto di subaffitto e cessione dell’affitto senza consenso del concedente (art. 1624 c.c.) salvo espresso e contrario accordo delle parti.

Nel contratto d’affitto d’azienda assumono particolare importanza gli allegati. Quelli generalmente inclusi nella prassi commerciali sono:

  • l’inventario: tale documento è espressamente previsto dall’art. 2561 c.c., comma 4 e serve innanzitutto a delimitare con chiarezza i confini dell’azienda concessa in affitto ed in secondo luogo, una volta confrontato con un nuovo inventario redatto al termine dell’affitto, a definire le eventuali differenze sorte nel periodo di godimento dell’affittuario da conguagliare in denaro;
  • dettaglio delle manutenzioni ordinarie e straordinarie: per i motivi già illustrati;
  • dettaglio specificante le condizioni di trasferimento dei lavoratori anche in relazione a quanto espressamente previsto dall’art. 2112 c.c. (il rapporto di lavoro continua con l’affittuario e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano), ovviamente in presenza di lavoro dipendente.

Aspetti interessanti si hanno anche per quanto riguarda la successione nei contratti e nella disciplina di crediti e debiti:

  • successione nei contratti: se non è pattuito diversamente, l’affittuario subentra nei contratti stipulati nell’esercizio dell’azienda non aventi carattere personale (art. 2558 c.c.);
  • crediti e debiti: salvo diverse pattuizioni, il concedente rimane titolare dei crediti aziendali esistenti al momento del conferimento, li amministra ed è l’unico legittimato alla loro riscossione; per quanto riguarda i debiti antecedenti l’affitto, invece, il concedente ne risponderà sempre esclusivamente, non essendo prevista la possibilità di diverso accordo tra le parti, se non per i debiti relativi al lavoro dipendente.

Nei prossimi post il trattamento contabile e fiscale dell’affitto d’azienda.


venerdì 27 luglio 2007

GUESTBOOK

Ho aggiunto un guestbook nella colonna di destra per rendere il blog un pò più interattivo.
Sarei molto felice di ricevere dei vostri messaggi, soprattutto di consiglio sui contenuti e, perchè no, sull'aspetto del blog stesso.
Grazie fin d'ora a coloro che vorrano lasciare segno del loro passaggio.

giovedì 26 luglio 2007

REGIME SEMPLIFICATO PER LE NUOVE INIZIATIVE IMPRENDITORIALI E DI LAVORO AUTONOMO

Anche se fare gli imprenditori in Italia è praticamente sconsigliato, per gli amanti del pericolo vorrei brevemente mettere in evidenza il regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo (conosciuto anche con il nome di forfetino) introdotto dall'art. 13 della Legge 23/12/2000 n. 388 (vedi anche il provvedimento dell'Agenzia delle Entrate 14/03/2001).
Non è una novità visto che tra qualche mese compirà il settimo anno di vita ma lo illustro brevemente per chi ancora non lo conosce.
Si tratta di un regime fiscale opzionale della durata massima di 3 periodi d'imposta (il primo ed i due successivi) che consente al nuovo imprenditore/lavoratore autonomo di versare un'imposta sostitutiva dell'IRPEF e delle relative addizionali (regionale e comunale) del 10% anzichè essere tassato secondo i vari scaglioni previsti in situazioni normali.
Per potersi avvalere di questo regime, naturalmente, bisogna sottostare ad alcune condizioni:
  • non si deve aver esercitato attività d'impresa/lavoro autonomo negli ultimi 3 anni (chiarimenti nelle Circolari 1/2001 par. 1.9 e 59/2001 par.2);
  • l'attività che si andrà ad esercitare non deve costituire, in alcun modo, mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, anche occasionale (chiarimenti nelle Circolari 8/2001 par. 1 e 59/2001 par. 2);
  • nel caso di prosecuzione di un'attività d'impresa svolta in precedenza da altro soggetto, l'ammontare dei relativi ricavi (non ragguagliato ad anno) realizzati nel periodo d'imposta precedente quello d'inizio della nuova impresa non deve essere superiore ad € 30.987,41 per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi ovvero ad € 61.947,83 per le imprese aventi ad oggetto altre attività.

Una volta soddisfatte queste condizioni ed aderito al regime semplificato bisogna sottostare ad alcune regole anche nel corso del triennio, pena decadenza immediata o dal periodo d'imposta successivo dalle agevolazioni previste dalla norma. In particolare:

  • l'imprenditore/lavoratore autonomo deve realizzare un ammontare di ricavi (non ragguagliato ad anno) non superiore ad € 30.987,41 per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi ovvero ad € 61.947,83 per le imprese aventi ad oggetto altre attività;
  • l'imprenditore/lavoratore autonomo deve regolarmente adempiere gli obblighi previdenziali, assicurativi ed amministrativi.

Gli aspetti positivi di questo regime, oltre al fatto di essere assoggettati ad un'imposta del 10%, sono l'esonero dalla registrazione e tenuta delle scritture contabili rilevanti ai fini delle imposte dirette, dell'IRAP e dell'IVA nonchè l'esonero dalle liquidazioni e dai versamenti periodici rilevanti ai fini dell'IVA (esisterà, quindi, solo il versamento annuale).

Di contro questo regime non consente (nel caso abbiate solo reddito d'impresa/lavoro autonomo) di dedursi o detrarsi dal reddito tutte le spese che sostenete durante il periodo d'imposta. Tradotto in italiano comprensibile significa che tutti i contributi che andrete a versare, piuttosto che le spese mediche, universitarie, ecc., non li potrete utilizzarle nella vostra dichiarazione dei redditi in abbattimento all'imposta che dovete all'Erario.

E' consigliabile, quindi, fare qualche calcolo di convenienza prima di optare per tale regime.

lunedì 23 luglio 2007

STUDI DI SETTORE: COSA SONO?

Studi di settore: tutti ne parlano ma quanti sanno in realtà cosa sono? (a parte una gran rottura di scatole ovviamente).
Gli studi di settore non sono altro che uno dei metodi a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per porre in atto la propria attività di accertamento, ovvero quel insieme di attività di controllo sulle dichiarazioni e sugli atti utilizzati dal contribuente per l’autodeterminazione dell’imposta da liquidare.
Queste attività di controllo si possono innanzitutto distinguere in due tipologie:

  • attività di controllo formale;
  • attività di controllo di merito;

dove, generalmente, la seconda è diretta conseguenza di qualche sospetto generato dalla prima.
Il controllo di merito, infatti, è decisamente più “invasivo” per il contribuente e può essere volto a rettificare il reddito complessivo (se si tratta di IRPEF o IRES) o il volume d’affari (se si tratta di IVA) del contribuente stesso (c.d. accertamento generale) ovvero solamente alcuni dei suoi redditi (c.d. accertamento parziale) di un determinato periodo.
Rimanendo nel caso dell’accertamento generale abbiamo che lo stesso è classificabile secondo due gradi di gravità:

  • accertamento generale analitico, applicabile dall’Amministrazione Finanziaria in tutti i casi;
  • accertamento generale induttivo, applicabile dall’Amministrazione Finanziaria solo in particolari circostanze gravi precise e concordanti.

L’accertamento induttivo si applica solamente ai redditi derivanti da attività d’impresa e di lavoro autonomo (non occasionale) riguardando, perciò, esclusivamente i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili.
Anche l’accertamento induttivo è classificabile in due tipologie:

  • accertamento tradizionale, secondo il quale l’Amministrazione Finanziaria determina il reddito sulla base dei dati e delle notizie in suo possesso senza tener conto in tutto o in parte delle risultanze del bilancio e delle scritture contabili;
  • accertamento basato sugli studi di settore (art.62-bis D.L. 30/08/1993 n. 331), cioè strumenti statistico-matematici finalizzati ad individuare le condizioni effettive di operatività di imprese e professionisti e a determinare ricavi e compensi che con “ragionevole” probabilità possono essere loro attribuiti.

A questo inquadramento generale cercherò di far seguire, in futuro, alcuni post di approfondimento sull’argomento.

domenica 22 luglio 2007

VOCABOLARIO: IMPRESA, AZIENDA E DITTA

Nel linguaggio comune le parole impresa, azienda e ditta vengono spesso utilizzate come sinonimi ma nel contesto giuridico, in realtà, queste tre parole indicando tre concetti ben diversi tra loro.
L’impresa, come disposto dall’art. 2082 del Codice Civile (c.c.), non è altro che l’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi. Tale attività è svolta dall’imprenditore, ovvero colui che esercita l’attività d’impresa in modo professionale.
L’azienda, come disposto dall’art. 2555 c.c., è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
La ditta, pur non essendo chiaramente definita dall’art. 2563 c.c. che ne prevede il contenuto minimo, può essere individuata come il “segno” che contraddistingue un’attività d’impresa svolta con un determinato complesso aziendale.
Se andiamo ad unire i tasselli, pertanto, possiamo dire che fare l'imprenditore significa svolgere un'attività d'impresa mediante l’utilizzo di un insieme di beni (l’azienda) che si distingue dalle altre imprese attraverso la ditta.
Ovviamente ciascuno di questi concetti ha fiumi di letteratura alle spalle e cercherò di approfondirli meglio nei prossimi post.

venerdì 20 luglio 2007

PREOCCUPIAMOCI DELLA PENSIONE

Argomento caldo quello delle pensioni.
Tralasciando quanto sta accadendo in relazione alla riforma previdenziale di cui tutti parlano, vorrei qui sottolineare una nuova possibilità offerta dalla cassa nazionale di previdenza ed assistenza dei dottori commercialisti (cnpadc).
Dal 2 luglio u.s., infatti, la cnpadc ha pubblicato le disposizioni applicative relative alla pre-iscrizione alla cassa stessa dei tirocinanti.
Per chi non ne fosse a conoscenza, l'esercizio della professione di dottore commercialista richiede (almeno per ora) 2 requisiti:
  • il compimento del tirocinio della durata di 3 anni;
  • il superamento dell'esame di Stato.

Durante il tirocinio non è prevista la corresponsione di alcun tipo di compenso (se non per bontà del c.d. dominus, ovvero colui che accoglie nel proprio studio e segue il tirocinante) nè tanto meno il versamento di alcun contributo previdenziale.

Solo una volta raggiunta l'agognata abilitazione l'oramai commercialista poteva riscattare previdenzialmente i tre anni "investiti" in tirocinio.

Dal 2 luglio u.s., come dicevo, le cose sono cambiate. D'ora innanzi, infatti, anche chi non è ancora abilitato può decidere di versare dei contributi a quella che, in teoria, sarà la sua futura cassa previdenziale.

La cnpadc concede 6 anni (tre anni di tirocinio + ulteriori 3 anni per superare l'esame) in cui è possibile iniziare ad accumulare la propria pensione futura. Il tirocinante, inoltre, può decidere di versare 500, 1.000 o 2.000 euro annui, in base alle proprie possibilità economiche.

Un altro aspetto interessante della novità (anche se l'INPS non è ancora in grado di confermare quanto sostenuto dalla cnpadc) consiste nel fatto che se un tirocinante decide di aprire partita iva può evitare di iscriversi alla gestione separata dell'inps (con conseguente versamento minimo annuo di circa 2.500 euro) essendo sufficiente il versamento della contribuzione prevista dalla cnpadc.

BENVENUTI

Da oggi voglio partire con questo nuovo progetto.
Fino ad ora ho gestito un blog senza avere le idee ben chiare.
Ho scritto di politica, fisco, eventi in Friuli V.G. e quant'altro mi passasse per la testa senza un vero filo logico e soprattutto con poca costanza.
Ho deciso di concentrarmi sulle materie che più mi competono e che affronto quotidianamente, sulle quali sono più informato e con più costanza mi aggiorno.
Quali siano queste materie è facile intuirlo dal titolo del blog: tutte le materie affrontate dai commercialisti.
Voglio approfittare del fatto che sto studiando in vista dell'esame di stato abilitativo alla professione per gestire questo blog come fosse un pò il mio quaderno degli appunti.
Allo stesso tempo vorrei entrare in contatto con altri colleghi con cui scambiare informazioni, idee, punti di vista e suggerimenti, nonchè offrire un aiuto per coloro che non sono tecnici ma che si ritrovano comunque a dover affrontare lo stesso genere di problematiche.
Spero di riuscire a tenere questo blog aggiornato e funzionale allo scopo che mi sono prefissato.
Per i miei sfoghi prettamente politici mi servirò sempre e comunque del mio buon Forza Friuli.